Dal punto di vista gestionale i sistemi produttivi flessibili introducono profondi cambiamenti nell'organizzazione della produzione. Uno degli obiettivi fondamentali è rappresentato da un adeguato sfruttamento della capacità produttiva, fatto che rende però estremamente difficile una programmazione tale da consentire un flusso continuo dei materiali lungo la linea produttiva . L'unica alternativa alla creazione di costose scorte lungo le stazioni di lavoro è costituita dalla sincronizzazione e dal perfetto bilanciamento delle capacità produttive in modo da evitare la creazione di colli di bottiglia. Quando uno stabilimento è dotato di un collo di bottiglia, l'utilizzazione di tutti gli altri centri non dipende più dalla capacità di questi, bensì dall'utilizzazione della capacità del collo. La capacità massima dello stabilimento intero è in realtà legata alla capacità del centro limitante. Anche aumentando la capacità del centro limitante, però, si trovano sempre altre stazioni di lavoro che presentano una capacità inferiore, seppure di poco, rispetto alle altre. Bisogna riconoscere, infatti, che l'eliminazione dei colli di bottiglia è, di fatto, impossibile in un sistema produttivo. Eliminando un collo di bottiglia se ne crea uno nuovo e, anche reiterando l'analisi per tutti i centri interni, i vincoli diverrebbero esterni, iniziando dal mercato e dalla domanda. "Se così non fosse, ogni impresa produrrebbe un infinito ammontare di output ottenendo un illimitato profitto" Secondo la teoria dei vincoli (TOC, Theory of Constraints ), ciò che determina la capacità di un sistema sono solamente le stazioni collo di bottiglia. Si può pensare alle prestazioni dell'azienda come a quelle di una catena: sono determinate dall'anello più debole. Rafforzando tale anello si aumentano le prestazioni dell'intero sistema. La capacità delle altre stazioni che non sono collo di bottiglia è irrilevante, in quanto essa non incide sulla capacità complessiva del sistema. Infatti, la produzione di queste stazioni è destinata a passare attraverso le stazioni limitanti, se il collo di bottiglia è posto verso valle, oppure è costretta a seguire il ritmo imposto dal collo se questo è posto verso monte della catena produttiva. Quindi, le eventuali perdite di produzione dei centri limitanti hanno un valore altissimo, perché provocano una diminuzione dell'output complessivo dello stabilimento. Secondo l'OPT (Optimized Production Technology), il software di programmazione della produzione basato sulla teoria dei constraints, ciò che conta realmente è la capacità dei colli di bottiglia. L'OPT si traduce in un modello finalizzato allo sfruttamento ottimale delle risorse disponibili con un ottica di breve periodo, mirando allo sfruttamento gli impianti esistenti, senza pretese di modifiche delle capacità scarse o in eccesso. La massima efficienza si ottiene col massimo sfruttamento di queste stazioni, col dimensionamento opportuno dei lotti, con una opportuna schedulazione e con l'accumulo di scorte a monte dei colli di bottiglia , in modo da non permetterne mai l'arresto, anche temporaneo. Quindi, l'ottimizzazione locale delle stazioni può non aver senso se non si guarda anche all'efficienza globale dell'intero sistema produttivo. Per questo motivo, Goldratt sostiene che un'ora di capacità produttiva di una risorsa limitante ha un valore pari ad un'ora delle risorse dell'intero sistema produttivo. La perdita di un'ora in un centro limitante non può essere recuperata e comporta una perdita di produzione (output) pari al costo di un'ora di attività dell'intero stabilimento. È comprensibile, quindi, come un sistema contabile tradizionale che misura le prestazioni dei singoli centri, puntando all'ottimizzazione locale, possa mancare la visione globale necessaria per un sistema di questo tipo. La teoria dei vincoli insiste nell'affermare che alla somma delle ottimizzazioni locali non corrisponde necessariamente l'ottimizzazione globale. Quindi un centro che non raggiunge mai il 100% della sua capacità non va forzato verso questo obiettivo forzando l'incremento del livelli di attività. Piuttosto è evidente che la capacità in eccesso costituisce un costo di cui l'azienda dovrebbe liberarsi. "Se in un dato momento ci fosse un solo elemento del patrimonio non impegnato nelle operazioni in corso, bisognerebbe concludere che esso è indice di una situazione anomala, mentre, almeno in linea teorica, giova presumere che nessun investimento sia mai lasciato inerte dalla gestione, come superfluo o disutile" . Questa affermazione potrà sembrare eccessiva e non generalizzabile (vedi infra il paragrafo 7.4 sulla capacità volutamente eccedente), ma troppe volte essa è assolutamente disattesa. È altrettanto evidente che la capacità dei centri vincolo dovrebbe essere potenziata, fino al raggiungimento dell'equilibrio produttivo. Ogni tentativo in questo senso, tuttavia, porta alla nascita di un nuovo collo di bottiglia, ma questo procedimento, reiterato per tutte le risorse produttive, dovrebbe generare un sistema interno perfettamente equilibrato, dipendente (o meglio vincolato), quindi, esclusivamente dall'ambiente esterno. Dal punto di vista delle soluzioni contabili, la teoria dei vincoli propone l'applicazione dei criteri del direct costing, riconoscendo come scomparsa la manodopera diretta. Coerentemente, il costo del lavoro viene trattato come componente dei costi di trasformazione, e cioè come un costo di periodo. Il costo industriale è costituito dai soli costi dei materiali (diretti) e dal costo di trasformazione (comune), dando origine ad un conto economico estremamente semplificato che evidenzia il margine lordo sui materiali:
RICAVI DI VENDITA NETTI
- COSTO DEI MATERIALI
------------------------------------------
= MARGINE SUI MATERIALI
- COSTI FISSI OPERATIVI
------------------------------------------
= UTILE OPERATIVO
Disponendo di un sistema di programmazione e schedulazione come CyberPlan(R), si potrebbe pensare di allargare la prima categoria agli altri costi variabili (e quindi anche diretti), come gli attrezzi, l'energia e le lavorazioni esterne, tutti perfettamente tracciati dallo schedulatore in fase di simulazione e dal MES in fase di avanzamento. In questo caso il conto del risultato economico potrebbe essere:
RICAVI DI VENDITA NETTI
- COSTI DELLE RISORSE TRACCIATE
----------------------------------------------------------
= MARGINE SULLE RISORSE TRACCIATE
- COSTI FISSI OPERATIVI
----------------------------------------------------------
= UTILE OPERATIVO
In questo conto economico il margine sui materiali viene definito throughput . Il termine è difficilmente traducibile, ma è in sostanza il rendimento del centro, in termini monetari, rispetto ai costi sostenuti per le materie prime (o i costi tracciabili). Il throughput del centro limitante diventa un parametro sufficiente per prendere le decisioni circa il mix di produzione, in quanto, in assenza di vincoli di mercato, basta ordinare i prodotti a seconda del valore del rapporto throughput del centro collo di bottiglia. Questo approccio, però, manca di realismo, in quanto detta soltanto le linee di massima dello sfruttamento della risorsa scarsa, senza fornire indicazioni del mix nel breve periodo, e ignorando i costi della varietà di prodotto. Sicuramente l'analisi dei colli di bottiglia è fondamentale per un efficace ed efficiente sfruttamento della capacità produttiva dell'azienda, ma non può essere utilizzato come strumento esclusivo per la programmazione della produzione, ignorando gli altri strumenti organizzativi, analisi del valore per primo. La programmazione suggerita dalla teoria dell'OPT rischia, infatti, di focalizzare l'attenzione della direzione sui rendimenti di breve periodo, trascurando, o rischiando di trascurare, obiettivi temporali più lunghi come il corretto dimensionamento della capacità di tutte le risorse.
[Home] [Concetti] [CyberPlan(R)]
[Modulo CO] [Capacità] [Misure]
[Conclusioni]