7.4. I costi della capacità produttiva

Il costo della capacità di un fattore produttivo a flusso rigido di servizi è costituito da quell'aggregato di costi che l'azienda deve sostenere per il mantenimento di quel fattore in uno stato che le consenta di utilizzarlo. Il costo della capacità è quindi il costo dell'essere preparati, pronti alla produzione. Dopo aver stabilito quale concetto di capacità (normale, massima teorica, o massima pratica) si intende utilizzare, è possibile calcolarne il costo unitario (come potrebbe essere quello orario), semplicemente mettendo a rapporto il totale dei costi della capacità del periodo con la misura della capacità del periodo stesso. Tale costo rappresenta già una misura di efficienza, essendo il reciproco di un rapporto tra output (quantità di capacità) ed input (costo della capacità). L'utilizzo della capacità, se opportunamente tracciato, può costituire da base ideale di imputazione dei relativi costi. Con un passaggio intermedio attraverso i lotti è possibile imputare alle singole unità di materiale il costo della capacità delle risorse utilizzate nel processo produttivo. Se la capacità produttiva non viene utilizzata al massimo, la differenza tra quella massima e quella impiegata viene denominata capacità inutilizzata, e come quella impiegata ha un costo, denominato costo della capacità inutilizzata. Questi costi sono sempre di competenza dell'esercizio e sono costi sostenuti per una produzione che si sarebbe potuta attuare, ma che non ha avuto luogo, sebbene le risorse fossero pronte e disponibili. Per questo motivo, questi costi andrebbero evidenziati separatamente nel conto del risultato economico, in modo da evidenziare il costo delle risorse che grava sui prodotti ottenuti, solo per il fatto che non se ne sono riusciti a fabbricare degli altri. L'ipotesi implicita che si fa in questo caso è che comunque i ricavi dei prodotti venduti vanno a coprire tutti i costi sostenuti dall'azienda, anche quelli relativi alla capacità non utilizzata. L'evidenziazione separata dei costi della capacità inutilizzata, quindi, potrebbe servire a conoscere quali potrebbero essere i prezzi praticabili dalla concorrenza o dall'azienda stessa se fosse libera da questi costi senza valore aggiunto. Per questo motivo la scelta della capacità massima (teorica o pratica) consente di evidenziare la porzione di capacità non utilizzata e di calcolare il costo di prodotto imputando i soli costi della capacità necessaria. Come già il costo unitario della capacità, anche il grado di utilizzo di questa è un indicatore di efficienza, in quanto la capacità massima, al denominatore, può essere considerata un input (risorse disponibili) e la capacità utilizzata, al numeratore, può essere considerata un output (risorse utilizzate). Per definizione, i centri limitanti (colli di bottiglia) non presentano costi per capacità eccedente. Si potrebbe, quindi, addossare a questi centri il costo della capacità eccedente degli altri, in quanto, anche volendo, la produzione che ne deriverebbe non potrebbe essere che eccedente . La conseguenza di una simile scelta potrebbe essere una migliore visibilità, per la direzione, del reale costo dei colli di bottiglia, forzandola al potenziamento di questi o al ridimensionamento degli altri centri. Degno di nota risulta senza dubbio il fatto che i costi della capacità inutilizzata andrebbero opportunamente separati in sede di reporting dei costi di centro, per evitare addebitamenti indesiderabili e, soprattutto, in quanto non controllabili dai responsabili del centro. Come si è già detto nel capitolo relativo ai sistemi a ciclo chiuso, uno degli obiettivi di medio periodo, per la direzione aziendale, è proprio il corretto dimensionamento delle capacità produttive di tutte le risorse aziendali. È fuori di dubbio che tale dimensionamento debba avvenire per raggiungere l'obiettivo della massima efficienza dell'intero sistema azienda e l'efficienza totale non può essere perseguita mediante delle ottimizzazioni locali in conflitto reciproco. Una volta determinata la misura della capacità inutilizzata, ed il suo costo, è opportuno condurre una suddivisione di questa, al fine di riconoscere quale quota di capacità sia solamente inoperosa, quale sia invece eccedente e, non da ultima, quale sia la capacità senza valore aggiunto. La capacità produttiva inoperosa richiede un'analisi dei processi aziendali, alla ricerca dei costi che vengono sprecati mancando la trasformazione in valore agli occhi del cliente, usualmente derivanti dalla cattiva programmazione ed organizzazione delle risorse. Tale analisi non richiede, per forza, un sistema informativo incentrato sulle attività, ma la presenza di un sistema di questo tipo rende senz'altro più rapida l'analisi e la trasforma da rimedio contingente in uno strumento di controllo continuo. L'individuazione della capacità realmente eccedente, invece, risulta meno problematica, ma richiede l'elaborazione e l'adozione di procedure e valori standard, anche se si può riconoscere che questa è interamente senza valore aggiunto. Dopo aver individuato il sostanziale inutilizzo di una parte dei fattori produttivi aziendali, il management deve analizzare le cause di questa eccedenza nelle risorse. La prima e più semplice motivazione dell'eccedenza della capacità potrebbe essere un errato dimensionamento di questa, dovuto ad errori nelle previsioni circa l'andamento della domanda, nel qual caso il costo dell'eccedenza dovrebbe essere separato nel conto economico. Un altro motivo potrebbe essere la stagionalità della domanda, la quale potrebbe costringere l'impresa all'adozione di una capacità non saturabile nei periodi off-peak, che però sarebbe imputabile a pieno titolo alla produzione ottenuta. Assimilabile a questo caso vi è quello in cui l'azienda rinuncia consapevolmente alla saturazione della capacità, dotandosi di una sorta di buffer di capacità, al fine di poter offrire una miglior risposta alla clientela, come nel caso del settore dei servizi. Anche in questo caso, quindi, si tratterebbe di un costo a valore aggiunto. Dopo aver compreso le ragioni dell'esistenza della capacità inutilizzata, la direzione deve attuare le corrispondenti contromisure. Per prima, la direzione dovrebbe progettare la capacità suddividendola per attività, confrontando poi questo piano con le capacità correntemente installate. Nella determinazione di queste capacità, dunque, è necessario tener conto dei suggerimenti forniti dalla TOC circa i colli di bottiglia. Anzi, ancora meglio, bisognerebbe tener conto dei possibili mix produttivi che l'azienda potrebbe dover affrontare, in conseguenza di eventi, interni oppure esterni; è noto, infatti, che diversi mix produttivi danno origine a diversi profili di carico. Uno strumento per poter effettuare delle valutazioni di questo tipo potrebbe essere AutoPlan, un prodotto che sfrutta le stesse tecnologie di CyberPlan(R) per la valutazione di un gran numero di piani di produzione scelti attorno ad un piano di partenza, evidenziando quello migliore in rapporto agli obiettivi forniti. Come già detto più volte, uno degli ostacoli più grandi alla realizzazione dei piani della capacità è costituito dalla tendenza delle singole risorse a cercare di utilizzare al massimo la capacità a disposizione, per non essere accusati di inoperosità, anche allungando vistosamente i tempi delle operazioni quando il portafoglio ordini si assottiglia (c.d. legge di P. N. Parkinson). La soluzione migliore per tutti questi problemi potrebbe essere un sistema di raccolta dati diretta dal shop-floor, ovvero un MES. Questo sistema, come già detto nel paragrafo 3.9, è capace di effettuare una rilevazione automatica e trasparente di tutte (forse fin troppe) le transazioni, anche quelle di livello più basso, consentendo, poi, l'aggregazione e la sintesi dei dati.

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