1. Concetti Generali di Contabilità Analitica

1.1. Classificazione dei costi

Per contabilità dei costi si intende l'analisi di costi, ricavi e risultati di particolari oggetti del sistema azienda. Tipicamente questi oggetti sono i prodotti, per evidenti ragioni, ma possono esserlo anche i centri di costo, i clienti e le classi di clientela, i canali distributivi, i processi, ecc., secondo le esigenze della direzione. Tale analisi viene effettuata sia in via consuntiva sia in via preventiva. L'analisi preventiva si esplicita nella realizzazione del budget; e dall'analisi degli scostamenti tra le previsioni e il consuntivo la direzione può indagare sulle cause che li hanno determinati. La contabilità analitica costituisce un sistema supplettivo alla contabilità generale, o meglio, un sottoinsieme di questa, che può esserne integrato (sistema unico) o separato (sistema duplice). La contabilità dei costi presenta una serie di elementi in comune con la contabilità generale, come l'origine degli elementi di costo, ma contemporaneamente si discosta da questa per un'altra serie di caratteristiche, evidenziate nella tabella 1.

  Contabilità Generale Contabilità dei costi
Epoca di riferimento Consuntiva Consuntiva e preventiva
Oggetto Transazioni con l'esterno Transazioni interne
Classificazione Secondo l'origine del fattore:
Materie prime, Manodopera, ecc.
Secondo la destinazione:
Prodotti, Centri
Precisione/tempestività Oggettiva, a scapito della tempestività Tempestiva, anche a scapito della precisione
Utilizzo direzionale Saltuario Continuativo
Obbligatorietà Obbligatoria Libera da vincoli di legge
Rilevazione Partita Doppia Forma libera

Tabella 1

La tipica distinzione dei costi attuata dalla contabilità generale, secondo la natura fisico-economica dei fattori produttivi, conserva la sua validità anche in contabilità industriale, anche se deve essere integrata da altre distinzioni:

  1. costi speciali e costi comuni,
  2. costi variabili e costi fissi,
  3. costi controllabili e costi non controllabili,
  4. costi parametrici, costi discrezionali e costi vincolati,
  5. costi effettivi e costi ipotetici.

1.1.1. Costi speciali e costi comuni

La classificazione si basa sulla possibilità o meno di misurare in modo oggettivo la quantità di fattore impiegata per un certo oggetto. I costi speciali sono attribuiti ai centri o ai prodotti mediante una misurazione oggettiva del volume di fattore utilizzato, e moltiplicando tale quantità per un prezzo di scambio unitario. La formula impiegata è:

quantità di fattore impiegato * prezzo unitario

I costi speciali si riscontrano anche nei casi in cui essi vengano sostenuti per un solo centro o prodotto, per cui non sorgono problemi di imputazione (l'ammortamento di uno stampo utilizzato per un solo prodotto). I costi comuni vengono attribuiti ai centri o ai prodotti mediante una ripartizione, che è sempre più o meno soggettiva, in quanto una misurazione oggettiva del consumo per ciascun oggetto non è possibile. La formula utilizzata per la ripartizione dei costi comuni è:

costo da ripartire * coefficiente di ripartizione

I criteri di ripartizione dei costi comuni possono essere fondati: - su base unica, - su base multipla. Su base unica significa che il totale dei costi comuni viene ripartito in proporzione ad un solo coefficiente ricavato da una sola grandezza nota, classicamente le ore di manodopera diretta. Su base multipla significa che il totale dei costi comuni viene suddiviso in classi omogenee, a ciascuna delle quali viene associato un criterio di ripartizione opportuno. Chiaramente questo secondo procedimento conduce a risultati più attendibili rispetto al precedente, in quanto rispetta maggiormente il nesso causale tra oggetto di costo e volume d'impiego del fattore produttivo. Nella prassi aziendale, comunque, difficilmente si parla di costi speciali e costi comuni, ma piuttosto di:

Un costo è considerato diretto quando esiste la possibilità di misurare oggettivamente il consumo del fattore, e quando c'è la convenienza ad effettuare tale misurazione. Vi sono, infatti, dei costi speciali, come ad esempio l'energia elettrica quale forza motrice delle macchine, la cui misurazione oggettiva può risultare troppo onerosa se rapportata ai benefici offerti. Quindi i costi speciali possono essere sia diretti che indiretti, mentre quelli comuni sono sempre indiretti. Bisogna comunque prestare attenzione alla distinzione tra costi speciali e costi comuni, in quanto questa non ha valore assoluto, ma è sempre relativa all'oggetto di riferimento; quindi, ad esempio, una pressa sarà speciale rispetto al centro di costo presse, ma sarà comune rispetto ai prodotti trattati.

1.1.2. Costi variabili e costi fissi

Tale classificazione si basa sul grado di variabilità dei costi al variare della quantità prodotta. Vengono, quindi, definiti variabili quei costi la cui entità varia in proporzione alle variazioni del volume produttivo, mentre sono fissi quelli che derivano dalla predisposizione di una certa capacità produttiva e non dai volumi effettivi di produzione, per cui restano sostanzialmente immutati alle variazioni di questi. Tale distinzione è valida nel breve periodo, ma chiaramente viene meno su di un orizzonte temporale più ampio nel quale tutti i costi diventano variabili. La variabilità dei costi può essere proporzionale, come si ipotizza il più delle volte, ma anche progressiva, degressiva o regressiva. Ad ogni modo, bisogna notare che nel breve la distinzione tra costi variabili e costi fissi è valida solo entro certi limiti di variazione del volume produttivo, oltre i quali dovrebbero variare anche i costi prima definiti fissi. Dovrebbero perché non è detto che ciò sia sempre realizzabile nel breve periodo, o perlomeno fattibile in maniera economica. Quindi, all'interno di questo intervallo di variabilità, si possono individuare tre categorie di costi: - i costi variabili in proporzione al volume di produzione, - i costi variabili in proporzione al volume, ma a scatti, - i costi le cui variazioni non sono spiegate dalla variazione del volume di produzione. Di queste, le prime due categorie sono quelle effettivamente variabili, mentre la terza lo è potenzialmente, in quanto viene bloccata in sede di budget. Spesso la pratica aziendale si riferisce ai prodotti assimilando i costi variabili a quelli speciali e i costi fissi a quelli comuni. Questo non è corretto perché, mentre i costi variabili sono anche comuni, quelli fissi possono essere speciali o comuni. Una nota meritano senz'altro i costi della manodopera diretta, che classicamente venivano considerati come variabili, mentre al giorno d'oggi si possono considerare pressoché fissi a causa dei vincoli contrattuali assunti nei confronti dei lavoratori.

1.1.3. Costi controllabili e costi non controllabili

Tale distinzione ha senso in quanto collegata all'esistenza di centri di responsabilità, cioè di unità organizzative dotate di un referente responsabile delle decisioni prese all'interno del centro. Non ha senso, invece, se l'oggetto di analisi è l'azienda nel suo complesso. Ad ogni modo è opportuno scorporare dai report di centro i costi non controllabili per valutare il grado di efficienza economica della gestione.

1.1.4. Costi parametrici, discrezionali e vincolati

Questa classificazione si basa sulle modalità secondo cui l'ammontare dei costi viene programmato. I costi parametrici sono quelli per cui è determinabile a priori in modo oggettivo la quantità di risorsa necessaria per ottenere un'unità di prodotto; ne sono un esempio tipico la manodopera o le materie prime. Sono discrezionali, invece, quei costi decisi dalla direzione in base a valutazioni soggettive, mancando dei parametri tecnici: un esempio può essere la pubblicità. Infine, sono vincolati i costi che dipendono da decisioni prese in passato, in sede di pianificazione strategica: le quote di ammortamento rappresentano un caso tipico.

1.1.5. Costi effettivi e costi ipotetici

Questa distinzione si basa sull'effettività della manifestazione dei costi. Quindi vi sono costi effettivamente sostenuti, rispondenti all'impiego di risorse, e costi che si dovrebbero sostenere se si realizzassero delle ipotesi di gestione.

1.2. Le configurazioni di costo della contabilità analitica

Prima di determinare il costo di un particolare oggetto è necessario stabilire se si considereranno tutti i fattori produttivi impiegati dall'azienda nello svolgimento delle attività, o solo alcuni di questi. Quindi bisogna effettuare una scelta se ragionare in termini di costi complessivi o costi parziali. Si possono allora individuare più configurazioni di costo, a seconda delle voci incluse nel calcolo. Nell'ambito delle configurazioni parziali, le principali sono:

  1. costo variabile,
  2. costo primo o diretto,
  3. costo industriale.

Il costo variabile è una configurazione che presuppone ovviamente una chiara divisione dei costi tra variabili e fissi. Un esempio potrebbe essere:

materie prime               L. 200.000
manodopera diretta          L. 250.000
forza motrice                L. 10.000
materie ausiliarie           L. 20.000
provvigioni di vendita       L. 25.000
costo variabile             L. 505.000 

Il costo primo o diretto deriva dalla somma dei costi diretti, senza alcuna imputazione di quote di costi indiretti. Riprendendo il caso precedente, ai costi variabili (e quindi diretti) dovrebbero essere aggiunti anche i costi fissi diretti (si immaginano degli ammortamenti specifici)

materie prime               L. 200.000
manodopera diretta          L. 250.000
forza motrice                L. 10.000
materie ausiliarie           L. 20.000
provvigioni di vendita       L. 25.000
ammortamenti specifici       L. 35.000
costo variabile             L. 540.000 

Il costo industriale è dato dalla somma delle materie prime e dei costi di trasformazione industriale delle stesse. Tale configurazione richiede, ovviamente, una ripartizione dei costi indiretti industriali, che sono parte integrante del processo di trasformazione. A ripartizione avvenuta, un esempio potrebbe essere: materie prime L. 200.000 costo di trasformazione L. 400.000 costo industriale L. 600.000 Rispetto al costo variabile, il costo industriale include anche i costi fissi di natura industriale, mentre non include i costi variabili non industriali. Rispetto al costo diretto, il costo industriale include anche i costi indiretti industriali, mentre non include gli eventuali costi diretti non industriali. Il costo complessivo, infine, è la configurazione di costo che dovrebbe includere tutte le voci di costo dell'azienda, quindi anche una quota di costi commerciali e amministrativi oltre a quelli industriali. Un esempio potrebbe essere:

materie prime                     L. 200.000
costo di trasformazione ind.le    L. 400.000
costi comm.,    amm. e di R&D     L. 100.000
costo industriale                 L. 700.000 

In realtà, la configurazione a costo complessivo trova scarsa applicazione, poiché nella prassi si rinuncia quasi sempre ad imputare alcune voci di costo relative all'area amministrativa, finanziaria, commerciale, di ricerca, ecc., che potrebbero essere imputate solo con criteri molto grossolani, ovvero senza rispettare il nesso causale con l'oggetto di costo. La scelta della configurazione dipende sempre dagli scopi perseguiti e dall'orizzonte temporale delle decisioni che dovranno avere il supporto della contabilità dei costi. La prassi aziendale, a tal proposito, è solita distinguere tra due grandi tipologie:

  1. direct costing o contabilità a costi variabili;
  2. full costing o contabilità a costi pieni.

In realtà, la terminologia aziendale è assai confusa, per cui non è mai chiaro se per direct cost si debba intendere costo variabile o diretto, e soprattutto se per full cost si debba intendere costo pieno complessivo (costo completo) o costo industriale pieno o altro ancora. A rigore, direct cost andrebbe letto come costo direttamente proporzionale al volume, e quindi costo variabile, mentre per full cost si dovrebbe intendere costo pieno comprensivo di tutti i costi oltre il livello industriale. È interessante notare come l'adozione di una delle due impostazioni conduca a strutture di conto economico differenti. Il direct costing imputa ai prodotti i soli costi variabili, considerando i costi fissi come costi di periodo. Il risultato economico di prodotto restituisce quindi un margine lordo di contribuzione. A questo margine vanno detratti i costi fissi (talvolta distinti in diretti ed indiretti), evidenziando il risultato netto.

Prodotto A Prodotto B Prodotto C Ricavi di vendita 100.000 200.000 300.000 - Costi variabili del venduto 70.000 120.000 100.000 Margine Lordo di Contribuzione 30.000 80.000 200.000 - Costi Fissi Diretti 5.000 10.000 50.0000 Margine Semi-Lordo di Contribuzione 25.000 70.000 150.000 - Costi Fissi Indiretti 5.000 20.000 90.000 Reddito Netto 20.000 50.000 60.000

Il conto economico redatto sulla base del full costing presuppone, nella realtà aziendale, una configurazione di costo industriale piuttosto che di costo pieno complessivo. Questo significa che per ogni prodotto si viene a determinare un utile lordo industriale, dal quale, detratti tutti i costi non industriali, si ricava il risultato netto.

 
Prodotto A
Prodotto B
Prodotto C
Ricavi di vendita
100.000
200.000
300.000
- Costi Industriali del Venduto
77.000
130.000
160.000
Utile Lordo Industriale
23.000
70.000
140.000
- Costi non Industriali
3.000
20.000
80.000
Reddito Netto
20.000
50.000
60.000

1.3. Scopi della contabilità dei costi

Gli obiettivi della contabilità dei costi sono:

  1. valutare le rimanenze di magazzino e altri elementi del bilancio,
  2. orientare le decisioni aziendali,
  3. permettere il controllo economico della gestione, specie sotto il profilo dell'efficienza.

A parte il primo scopo, si potrebbe dire che a livello generale, obiettivo della contabilità analitica è quello di comprendere le modalità di svolgimento della gestione. Nella determinazione del costo di prodotto non è indifferente la tipologia dei processi produttivi aziendali. Tra le numerose classificazioni proposte, spesso si distinguono, in base al grado di prevedibilità delle caratteristiche del prodotto, le produzioni su commessa dalle produzioni per il magazzino, distinguendo tra queste ultime quelle di serie e quelle a flusso continuo. Al di là delle possibili classificazioni, si deve notare che esistono significative differenze, anche dal punto di vista della contabilità industriale e del controllo di gestione, tra le produzioni su commessa da un lato e le produzioni di serie e su processo dall'altro. Nelle produzioni su commessa la contabilità dei costi viene utilizzata per valutare l'avanzamento dei lavori e l'ammontare dei costi effettivamente sostenuti. Dato che solitamente non esistono costi standard di commessa, la comparazione dei consuntivi viene effettuata rispetto ai preventivi di commessa. Nelle produzioni di serie, invece, esistono i costi standard, ottenuti facendo riferimento all'esperienza storica ed a condizioni normali di gestione. Essi vengono utilizzati come termine di paragone per i costi effettivamente sostenuti Due sono i quesiti a cui si deve rispondere per procedere alla determinazione del costo di prodotto. Il primo riguarda la configurazione di costo da utilizzare, il secondo la metodologia da impiegare. La risposta alla prima domanda può essere il costo completo (pieno complessivo), opportunamente dettagliato nella sua composizione, in modo da poterlo scomporre in sottocategorie quando necessario. Per quanto riguarda la metodologia, invece, si è soliti distinguere tra due tipologie fondamentali, il modello a centri di costo e quello ad attività. La contabilità a centri di costo è il metodo storicamente più diffuso, realizzato in due stadi, che prima raccoglie i costi in centri e poi li imputa ai prodotti. Il centro di costo è il perno del sistema, e se i centri sono strutturati anche come centri di responsabilità allora il tutto viene utilizzato anche per valutare i responsabili di centro. La contabilità dei costi basata sulle attività è invece un metodo recente e meno diffuso. Qui le attività sono un oggetto di calcolo intermedio, in prima approssimazione una componente dei centri. Nei paragrafi seguenti verranno esaminati nel dettaglio i due modelli.

1.4. La contabilità per centri di costo

1.4.1. La contabilità industriale e i centri di costo

Il modello base di riferimento per qualsiasi contabilità dei costi è ancor oggi quello fondato sui centri di costo. Questo modello rappresenta il primo passo compiuto da una contabilità che guarda all'azienda come ad un blocco unico. Nella contabilità senza centri, i costi vengono suddivisi in tre categorie: - costi per materie prime, - costi per manodopera diretta, - costi indiretti, dove i costi indiretti sono tutti quelli che non rientrano nelle prime due categorie. L'addebito delle materie prime e della manodopera diretta avviene semplicemente moltiplicando quantità e tempi per il costo unitario; tutte queste sono grandezze note o comunque facilmente ricavabili.

Materie prime L/kg 1.000 kg 12
Manodopera diretta L/h 20.000 h 0,5 

Per i costi indiretti, invece, viene effettuata una ripartizione tra i prodotti sulla base di un fattore preso come determinante dei costi indiretti. Storicamente questa determinante è sempre stata la manodopera diretta. Quindi il totale dei costi indiretti viene diviso per la stima annuale delle ore di manodopera diretta. Quello che si ottiene è quindi un tasso dei costi indiretti

Costi indiretti stimati annui       L. 600.000.000
Manodopera annua stimata                  h 40.000 
Tasso: 600.000.000/40.000               L/h 15.000 
Materie Prime kg 12 * L. 1000            L. 12.000 
Manodopera Diretta h 0,5 * L. 20.000     L. 10.000 
Costi Indiretti h 0,5 * L. 15.000         L. 7.500 
Costo Pieno di Prodotto                  L. 29.500 

È evidente che questo metodo non spiega in maniera corretta i rapporti causali tra i costi indiretti e i prodotti, ma viene utilizzato perché non richiede informazioni che non siano già note e disponibili all'interno del sistema. Diciamo che tale metodo può essere utilizzato quando i costi indiretti non hanno grossa rilevanza. In caso contrario, sarebbe opportuno almeno suddividerli in tre categorie: - costi indiretti industriali, - costi indiretti commerciali, - costi indiretti amministrativi e generali, e imputarli ai prodotti attraverso le basi multiple, ovvero tre determinanti diversi. In ogni caso, anche la scelta delle basi multiple continua ad ignorare le reali condizioni di svolgimento dei processi produttivi. Fino a questo punto si continua, infatti, ad immaginare che i prodotti assorbano direttamente le risorse, mentre nella realtà il consumo delle risorse segue la struttura aziendale, e il suo disegno organizzativo di base. E da questa struttura, solitamente organizzata per centri di responsabilità, si giunge alla contabilità per centri di costo. Naturalmente neanche questa scelta rappresenta la scelta ottimale, perché non sempre il profilo organizzativo coincide con la struttura operativa e gestionale.

Senza centri, si immagina che le risorse vengano assorbite direttamente dai prodotti, mentre con la contabilità per centri si ha una logica più accurata, dove i prodotti richiedono l'intervento dei centri, i quali a loro volta richiedono l'impiego di determinate risorse. La logica dei due procedimenti appare ancora più chiara qualora si guardi alla struttura (tabella 2) del costo pieno di prodotto che ne consegue.

Struttura costo di prodotto senza centri
Struttura costo di prodotto con centri
Materie Prime
Mano d'opera diretta
Costi indiretti (quota)




Materie Prime e altri costi diretti
Costi Centro Produttivo 1
Costi Centro Produttivo 2
………………….
………………….
………………….
Costi Centro n

Tabella 2

È evidente che nel primo caso i costi risultano imputati al prodotto classificandoli per natura, mentre nel secondo caso l'imputazione dei costi avviene per destinazione, ovvero questi vengono destinati dove sono stati sostenuti, vale a dire nei centri.

1.4.2. I centri di costo

I centri di costo sono unità organizzative della struttura aziendale. È sufficiente utilizzare la mappa dell'organizzazione per poter avere una visione più approfondita delle attività aziendali. Vengono utilizzati in quanto favoriscono l'applicazione del principio causale, perché sono il primo livello di complessità affrontabile dopo la base unica. In special modo, quando si deve individuare una relazione tra prodotti e costi indiretti che non sia oggettiva, è particolarmente utile far transitare questi costi prima per i centri, essendo il legame più forte, per poi imputarli ai prodotti. La contabilità per centri di costo ha il vantaggio di imputare ai prodotti solo i costi sostenuti per realizzarli, evitando quel fenomeno di livellamento caratteristico della base unica o multipla senza centri che imputa pro quota ai prodotti tutti i costi indiretti. Per il calcolo dei costi di prodotto i centri vengono solitamente classificati in:

TIPO DI CENTRO                  DESCRIZIONE
centri produttivi o primari:       fabbricazione dei prodotti (operativi) 
centri ausiliari:                  servizi ai centri produttivi 
centri funzionali o di struttura:  corrispondono alle funzioni aziendali diverse da quella industriale

In particolare, i centri funzionali sono spesso denominati centri di struttura o centri comuni e corrispondono alle funzioni aziendali diverse dalla produzione. Essi accolgono costi difficilmente ricollegabili ai prodotti perché generalmente sostenuti per l'impresa nel suo insieme. Al momento della scelta del piano dei centri di costo vanno rispettati dei principi generali:

  1. omogeneità delle operazioni compiute, tale da permettere l'individuazione di una comune unità di misura alla quale verranno commisurati i costi sostenuti;
  2. omogeneità delle dotazioni di fattori produttivi, cioè della composizione dei relativi costi, in modo da evitare fenomeni di livellamento (centri uomo/macchina);
  3. significatività degli importi dei costi del centro, per evitare di appesantire il lavoro della contabilità senza ottenere significativi vantaggi;
  4. individuabilità di un responsabile del centro, per valutare, eventualmente, l'efficienza dei centri.

Bisogna, però, ricordare che il fine della responsibility costing non risulta pienamente compatibile con il product costing, perché per ottemperare al controllo dell'efficienza non risulta opportuno imputare i costi non controllabili.

1.4.3. Iter di svolgimento della contabilità a costi pieni per centri di costo

Non esiste un modello unico di calcolo del costo pieno di prodotto quando si adotta la metodologia basata sui centri di costo. La prassi aziendale segue per lo più quattro fasi:

  1. localizzazione dei costi dei fattori produttivi ai centri in cui sono stati sostenuti;
  2. addebito dei costi dei centri ausiliari sui centri produttivi;
  3. quantificazione della produzione dei centri produttivi e calcolo del costo unitario di prestazione;
  4. imputazione finale ai prodotti dei costi relativi a:

Il processo qui illustrato è un procedimento a due stadi che si propone di calcolare il costo pieno di prodotto applicando il principio causale. Tale principio si esplicita nell'imputazione dei costi ai centri in cui si impiegano le risorse e nell'imputazione dei centri ausiliari ai centri produttivi e poi da questi ultimi ai prodotti. Per quanto riguarda i costi non industriali, la loro imputazione ai centri funzionali ha senso solo quando questo passaggio contribuisce ad un calcolo più attendibile del costo di prodotto. Lo stesso vale per un eventuale flusso di costi dei centri funzionali su quelli produttivi. Se non esiste, o meglio, se non è misurabile il servizio dato dai centri funzionali a quelli produttivi, ma semplicemente questi operano per l'azienda nel suo complesso e producono servizi che non sono causalmente riconducibili ai prodotti, allora è più semplice ed opportuno evitare il flusso in questione.

1.4.4. Imputazione dei costi ai centri di competenza

I costi diretti di prodotto vengono imputati direttamente ai prodotti, ma tutti gli altri costi vengono imputati ai centri per poi passare ai prodotti. In ogni caso, i costi vengono ripresi dalla contabilità generale (C.G.), che necessita però di numerose integrazioni, visti i diversi orizzonti temporali delle due contabilità. Esaminiamo di seguito le categorie di costo maggiormente utilizzate nella prassi:

a) Mano d'opera diretta ed indiretta

È il costo dell'attività diretta ed indiretta svolta dal personale operaio. Tale distinzione tra diretta ed indiretta viene solitamente effettuata a livello di individuo, mentre sarebbe più reale effettuarla in termini di ore. L'individuazione delle ore è raramente problematica, specialmente se l'organico è fisso e non vi sono "prestiti" di personale da un centro all'altro. In quest'altro caso, ai dati in possesso dell'ufficio paghe vanno aggiunte le variazioni risultanti dalle bolle di trasferimento da centro a centro. Può risultare maggiormente problematico, invece, il calcolo del costo orario della mano d'opera. A priori è possibile scegliere tra costo medio aziendale, costo medio per categoria e costo individuale. Chiaramente la prima e la terza sono le due soluzioni opposte, troppo semplificata la prima e molto complessa l'ultima, mentre la seconda bilancia efficacemente l'eccessivo livellamento e l'eccessiva laboriosità. Il costo orario della manodopera è la somma della retribuzione diretta (paga base, premi, indennità), di quella differita (TFR, ferie, 14.ma) e dei contributi a carico dell'azienda (enti previdenziali e assistenziali). Note le ore di competenza di ciascun centro suddivise in categorie come ipotizzato, e noti i costi orari per categoria, si può procedere all'imputazione dei costi di mano d'opera semplicemente con delle semplici sommatorie. All'interno di CyberPlan(R), la manodopera è una risorsa che viene schedulata come le altre, e dai risultati della schedulazione è possibile ottenere delle stime, come una simulazione del carico di lavoro della risorsa umana, e di conseguenza, è possibile effettuare tutti i calcoli dei costi della componente umana, disponendo di un tracing simulato dei carichi. Più interessante potrebbe essere il confronto dei dati simulati con quelli ricavati a consuntivo dal CyberMES , anche se questi sono assolutamente meno gestibili, in quanto quantitativamente estremamente elevati e qualitativamente meno accurati.

b) Stipendi tecnici

Si tratta della remunerazione dei dipendenti non operai, ma appartenenti alla categoria impiegatizia e dirigenziale che operano all'interno dell'area produttiva. Normalmente questa componente di costo non viene modellizzata all'interno del simulatore e viene mantenuta all'interno del gestionale, in quanto poco variabile rispetto alle schedulazioni possibili.

c) Forza motrice

La fatturazione di questi tipi di servizi ha una cadenza tipicamente plurimensile, mentre la contabilità analitica ha bisogno di dati ed informazioni con una cadenza mensile, se non addirittura più breve. Quindi sarà necessario ricorrere a dei contatori interni, oppure a medie dei periodi precedenti, oppure alla potenza installata - potenza nominale (eventualmente corretta) - moltiplicata per il tempo di funzionamento.

d) Illuminazione

Solitamente questi costi presentano le stesse problematiche della forza motrice, e vengono misurati in kWh, oppure si valutano i costi totali e li si ripartisce in base ai mq.

e) Combustibili

Qualora si tratti di combustibili utilizzati per il funzionamento del centro questi andranno imputati al centro, qualora, invece, si tratti di combustibile per il riscaldamento, essi verranno imputati ad un apposito centro ausiliario e poi da questo ripartiti sugli altri centri con un criterio che solitamente è lo spazio dei locali.

f) Materiali ausiliari e di consumo

Tali costi sono imputati al centro perché non si ritrovano nel prodotto finale (non compaiono nella Distinta Base), in quanto diversi dalle materie prime. Non sono infatti, costi di prodotto, ma di centro, in quanto vengono sostenuti nei centri, come nel caso dei lubrificanti, o dei costi per la pulizia, oppure come attrezzi ed utensili, oppure in generale come materiali per la manutenzione.

g) Manutenzioni esterne ed ordinarie

Nel caso più fortunato sono opera di esterni e pertanto si ha a disposizione una fattura o un preventivo, oppure sono comunque stimabili. Se, invece, sono opera interna, si devono avere dei rapportini con le ore ed il relativo costo, in maniera tale da poter addebitare i costi agli oggetti che ne hanno tratto beneficio.

h) Ammortamento

L'ammortamento rappresenta la quota di costo dei fattori produttivi a fecondità ripetuta. Relativamente ad essi vi sono molti problemi da risolvere:

  1. costo complessivo da ammortizzare: che potrebbe essere quello storico oppure quello di sostituzione, il quale però porta alla contabilità a valori correnti;
  2. durata del periodo di ammortamento: che potrebbe essere la durata fisica oppure quella economica, con tutti i problemi legati all'obsolescenza;
  3. criterio di ripartizione del costo1): si possono utilizzare delle quote costanti, o decrescenti, oppure proporzionali al carico di lavoro effettivo;
  4. criteri di imputazione degli ammortamenti ai vari centri: il costo potrebbe essere considerato diretto del centro oppure relativo a più centri, o al limite a tutta l'azienda;

i) Altre spese industriali

Come quelle relative alle pulizie, alle consulenze tecniche e alla formazione;

j) Altri costi non industriali

Alcuni costi sono veri e propri costi aziendali collegati ad alcuni centri solo per il fatto che in tali centri vengono gestiti, ma senza che questi ne beneficino in maniera esclusiva, anzi, ne beneficiano anche altri centri se non addirittura l'azienda intera (si vedano ad esempio i servizi di vigilanza o le assicurazioni danni). Alcuni costi, dunque, non hanno una relazione diretta o indiretta coi prodotti, neanche mediata dai centri. Esempio classico in questo caso sono le spese di R&S, che sono costi che l'azienda sostiene per i prodotti che ancora non sono a catalogo ed è quindi impossibile imputarli ai prodotti, sia direttamente che attraverso i centri.

1.4.5. L'addebitamento dei costi dei centri ausiliari (ed eventualmente funzionali) sui centri produttivi

Dopo aver imputato tutti i costi ai rispettivi centri, bisogna procedere all'imputazione dei costi dei centri ausiliari ai centri produttivi. I criteri per quest'ultima imputazione possono essere diversi, anche se nella pratica, quando possibile, si cerca di utilizzare la misurazione diretta della quantità di servizi forniti. Inevitabilmente, l'alternativa costringe a ricorrere a metodi indiretti basati sull'attività svolta dal centro cliente o su altri parametri tipici, quali potrebbero essere, a seconda degli oggetti: Centro Ausiliario Criterio Officina manutenzione Ore lavorate Centrale elettrica kWh consumati Centrale termica kWh consumati Controllo qualità n. controlli standard

1.4.6. Il quadro analisi costi dei centri

Nella contabilità manuale, per gestire gli addebitamenti dei costi ai centri e da questi ai prodotti, si utilizza un prospetto riepilogativo dei centri e delle voci di costo per centro. Nei sistemi automatizzati tutto ciò viene realizzato in maniera del tutto trasparente, ma uno sguardo alla tabella 3 può essere utile per chiarire le logiche.

1.4.7. Quantificazione della produzione dei centri e calcolo dei coefficienti unitari di costo

Dopo aver chiuso i centri ausiliari restano da imputare i costi dei centri produttivi ai singoli prodotti. Ovviamente per fare questo è necessario conoscere la quantità di prestazione fornita dai centri ed imputarle ai prodotti secondo un certo prezzo di trasferimento o tariffa. Questa tariffa è un coefficiente che si ricava solitamente dividendo il totale dei costi sostenuti nel centro per una certa quantità di output. Se avessimo un solo prodotto sarebbe banale, ma avendo solitamente più prodotti questa quantità è un indicatore che dovrebbe rispettare il più possibile il principio causale. Nella prassi aziendale viene utilizzata una misura relativa agli input del centro, di solito il tempo, di mano d'opera o di macchina, a seconda della prevalenza dell'uno o dell'altro nel centro. La scelta di questa unità è fondamentale, pena lo stravolgimento del principio causale.

1.4.8. Attribuzione ai prodotti delle materie prime e di altri costi diretti

Si tratta di costi che si ritiene opportuno non far transitare per i centri in quanto è incontestabile il rapporto diretto che li lega al prodotto. Pertanto l'intero ammontare del costo va attribuito esclusivamente ad esso. Le materie prime sono la voce di costo diretto preponderante e vengono imputate moltiplicando la quantità consumata per il prezzo unitario. Per quanta riguarda la quantità, solitamente, non vi sono problemi, in quanto questa può essere rilevata senza problemi dai buoni di prelievo da magazzino o direttamente dai database di magazzino. Addirittura nel caso di produzioni su commessa non vi è neanche il passaggio dal magazzino, ma direttamente dal fornitore della materia alla commessa. Nei prodotti a processo continuo, invece, il consumo viene ripartito secondo standard prefissati (Distinta Base atipica). Maggiori scelte offre invece il prezzo delle materie, a seconda dei dati disponibili e dello scopo che si vuole raggiungere:

I primi tre riflettono prezzi relativi a negoziazioni avvenute, mentre gli ultimi due guardano maggiormente alle tendenze future.

1.4.9. Imputazione ai prodotti dei costi dei centri produttivi

Ottenuto il costo unitario dei centri produttivi non resta che moltiplicare il coefficiente di costo di ciascun centro per la quantità di prestazione fornita dal centro e ripetere questa operazione per tutti i centri coinvolti.

PUPOLO SOMMATORIA

1.4.10. Imputazione ai prodotti dei restanti costi di natura non industriale

Chiusi i centri ausiliari e chiusi i centri produttivi restano ora da imputare ai prodotti solo i centri funzionali. Questi raccolgono principalmente i costi di natura non industriale, spesso denominati "spese generali", commerciali, amministrative e così via. Questi costi, in realtà, entrano solo in parte nel costo di prodotto attraverso i centri funzionali. Questi centri, infatti, raccolgono solo una parte dei costi non industriali. Ad esempio, i centri funzionali dell'area amministrativa accolgono i costi relativi agli stipendi dell'area amministrativa, ma vi sono molti altri costi che non sono localizzabili in nessun centro in particolare, perché in realtà questi costi riguardano tutti i centri, o meglio l'azienda nel suo complesso. Si ricorre allora a criteri largamente soggettivi, come il costo di trasformazione industriale, le ore di mano d'opera diretta dei prodotti o le basi commerciali. Chiaramente questi criteri non hanno valide ragioni logiche e cioè non rispettano il principio causale richiesto dalla struttura a centri.

1.5. L'Activity Based Costing

1.5.1. Metodologie contabili tradizionali e nuovi orientamenti

La contabilità per centri di costo costituisce ancora oggi un modello di riferimento per le piccole e medie aziende che non dispongono di raffinati strumenti di controllo gestionale. Di solito, la contabilità per centri è il primo passo verso una contabilità per obiettivi, capace di garantire una certa attendibilità dei risultati senza richiedere sforzi particolari alla direzione. Naturalmente, migliore è l'applicazione del principio causale, maggiore è la precisione dei dati forniti. La contabilità per centri di costo, però, anche se ben realizzata, lascia irrisolti alcuni problemi fondamentali per il corretto calcolo dei costi di prodotto. Non solo, in realtà nasconde dei fenomeni di rilevanza direzionale che non possono essere letti attraverso la struttura organizzativa. Questi fenomeni hanno messo in crisi la contabilità tradizionale, sottolineando come questa sia rimasta legata agli ambienti ed alle condizioni produttive degli anni '20.

a) Le strategie di differenziazione

La ricerca di vantaggi competitivi attraverso l'offerta al cliente di un prodotto il più possibile unico, nelle sue caratteristiche intrinseche, nel livello di servizio, ed in generale lungo tutta la catena del valore, si è tradotta a livello produttivo in una moltiplicazione delle attività necessarie a realizzare tale diversificazione. Anche ipotizzando invariata la produzione totale, queste attività non trovano riscontro alcuno nei sistemi tradizionali di contabilità, spiazzandoli completamente rispetto ai determinanti di costo da questi utilizzati.

b) La Qualità Totale

Implica una visione per processi in cui ogni attività della catena del valore è "cliente" delle attività che stanno a monte e a sua volta "fornitrice" delle attività a valle. Ogni attività ha come obiettivo la massimizzazione della soddisfazione del cliente, sia esso esterno all'azienda o sia esso un'attività a valle interna all'azienda. Tale visione è orientata al miglioramento continuo, ottenuto con la riprogettazione delle attività e la minimizzazione di quelle che non producono valore nel cliente. Il miglioramento qualitativo è solitamente abbinato ai sistemi produttivi Just In Time (J.I.T.), alle riduzioni dei tempi degli attrezzaggi, alle collaborazione strette con i fornitori, all'ottimizzazione del layout produttivo, ecc., tutti fenomeni caratterizzati da un dinamismo che non si sposa con l'abitudinaria stasi dei sistemi contabili tradizionali.

c) L'Evoluzione Tecnologica ed Organizzativa

Si manifesta al massimo nell'automazione dei processi produttivi, riuscendo addirittura a combinare bassi costi di prodotto con alta flessibilità delle linee. Comporta un cambiamento anche a livello di logica organizzativa del lavoro, come dimostrato ad esempio dalle celle flessibili di produzione.

d) Decentramento Produttivo

Comporta il ricorso a produttori esterni per la realizzazione di parti o semilavorati altrimenti producibili internamente. In realtà, può riguardare anche attività non di fabbricazione (outsourcing), ma essendo basato sull'analisi delle attività svolte dall'azienda, per identificare quelle che sono quelle strategiche (core activities) e quelle che sono quelle più bisognose di risorse, ecco che emerge la carenza del supporto informativo offerto dai sistemi tradizionali.

e) Gestione per Processi

Trae origine dalle esigenze di interfunzionalità e di integrazione, richieste in particolare dalle aziende impegnate in programmi di qualità totale. L'orientamento ai processi presuppone la segmentazione dell'azienda e dei suoi business in sottosistemi costituiti da operazioni correlate e omogenee sul piano delle loro finalità. Anche queste operazioni trovano scarso supporto nei sistemi contabili tradizionali.

1.5.2. Limiti e distorsioni della contabilità tradizionale

L'effetto dei fenomeni illustrati sui sistemi di controllo si manifesta con una serie di sintomi:

a) Cambia la struttura di prodotto

Come già illustrato, nei sistemi produttivi attuali si va riducendo il peso dei costi come la mano d'opera diretta, mentre aumentano quelli indiretti, sia industriali che generali e amministrativi. Questo sbilanciamento tra le due categorie lascia disorientati i manager che utilizzano i sistemi tradizionali, che si concentrano sui costi diretti delle attività strettamente produttive e che vedono aumentare i costi delle attività di supporto, apparentemente senza una ragione. Inoltre, i tentativi di imputare questi costi indiretti agli oggetti di costo avviene in base a criteri di imputazione assolutamente soggettivi e arbitrari, conducendo a inevitabili livellamenti e compensazioni e, quindi, a determinazioni imprecise dei costi.

b) I tradizionali oggetti di calcolo non sono più sufficienti

I centri di costo si rivelano non più sufficienti come oggetti di analisi, ma è necessario spingersi più a fondo nella struttura produttiva, sino alle attività svolte all'interno di questi, o magari trasversalmente a più centri. Contemporaneamente si richiede una visione macro, rivolta ai processi, che spieghi come le attività utilizzano le risorse, ed alle relazioni tra le attività che si concatenano per formare i processi.

c) I parametri economici non sono più sufficienti

Nei sistemi produttivi attuali è forte l'esigenza di ottenere, accanto ai classici parametri monetari di costo, anche dei parametri non monetari, che definiscano il lavoro svolto e i risultati raggiunti dalle singole attività. I parametri non monetari informano circa la bontà delle attività svolte, e come queste attività soddisfano le esigenze dei clienti, siano questi esterni o interni. Tali misure riguardano l'efficienza delle attività, il tempo impiegato per realizzarle e la qualità del lavoro svolto, secondo i canoni della T.Q.M.

d) Il reporting direzionale mostra sintomi, ma non cause

Le condizioni dei mercati e della concorrenza impongono che si individuino con immediatezza le cause degli scostamenti tra gli obiettivi desiderati e le prestazioni ottenute effettivamente. I sistemi tradizionali dimostrano grosse difficoltà nel misurare correttamente gli obiettivi, e mancano spesso la corretta misurazione delle cause dei costi, se queste non si esauriscono nelle materie prime e nella manodopera diretta. La contabilità per centri applicata ai sistemi produttivi attuali fornisce, quindi, dei costi che non sono più attendibili, soprattutto perché non rende visibili i costi generati dalla complessità gestionale risultante dall'adozione dei sistemi qualità e delle strategie di differenziazione. Il primo limite, infatti, della contabilità per centri risiede proprio nella chiusura dei centri ausiliari, carichi dei costi indiretti summenzionati, che hanno determinanti diversi tra loro, ma che vengono poi ripartiti su una base unica. Il secondo limite della contabilità per centri riguarda la struttura del costo di prodotto che non contiene nessuna informazione sui centri ausiliari, perché questi vengono chiusi nei centri produttivi. In particolare, sarebbe importante per la direzione conoscere l'entità dei costi indiretti generati da operazioni di sostegno svolte dai centri ausiliari e funzionali. Tali costi, infatti, nascondono spesso operazioni senza valore aggiunto, oppure modi inefficienti di svolgere attività non eliminabili. Vi sono, dunque, buoni motivi perché la contabilità industriale renda visibili fenomeni che con la sola analisi per centri non possono rendersi manifesti. Un esempio concreto è l'informazione sul costo della messa a punto delle macchine per unità di prodotto fornita dalla contabilità per attività, mentre la contabilità per centri informa circa il costo dei centri produttivi, che già includono tali costi.

1.5.3. L'A.B.C.: generalità

Nel campo della contabilità dei costi la metodologia innovativa più conosciuta è nota con la denominazione di Activity Based Costing (A.B.C.). L'A.B.C. mira a determinare il costo pieno di prodotto evitando le distorsioni provocate da una ripartizione semplicistica dei costi indiretti ed evidenziando, a livello di prodotto, i fenomeni rilevanti utili ai fini del miglioramento della gestione. Come suggerisce il nome stesso, tale contabilità è imperniata sulle cosiddette attività richieste dai prodotti, attività per le quali è fondamentale individuare il cost driver, ovvero il determinante di costo. Dal punto di vista metodologico, l'A.B.C. si fonda sulla seguente logica:

  1. i costi delle risorse produttive sono imputati in primo luogo alle attività;
  2. i costi delle attività (operative e non) sono imputati ai prodotti.

Le attività sono operazioni di gestione, o meglio un aggregato di operazioni elementari tecnicamente omogenee. Certamente il riferimento teorico più autorevole è costituito dal modello del vantaggio competitivo di M. Porter , nel quale i fattori di successo per l'azienda sono costituiti dalle attività generatrici di valore, a loro volta classificabili in:

- attività primarie (logistica in entrata, produzione, logistica in uscita, marketing e vendite, servizi alla clientela);

- attività di supporto (approvvigionamenti, sviluppo della tecnologia, gestione del personale);

- attività infrastrutturali generali (attività amministrative).

Le attività generatrici di valore, componenti la cosiddetta catena del valore, vengono suddivise in queste tre categorie e poi, di volta in volta, disaggregate in relazione alle peculiarità del business considerato. Il concetto di attività significativa per la contabilità dei costi è caratterizzato delle seguenti caratteristiche:

- le singole attività richieste per la realizzazione di un prodotto devono essere identificate a basso livello se si vuole che l'imputazione dei costi avvenga in maniera attendibile;

- le attività in questione difficilmente coincidono con la struttura organizzativa e quindi con i centri di costo della contabilità tradizionale; spesso sono il risultato della scomposizione dell'operato dei centri, oppure si trovano trasversalmente su più centri.

Ad esempio, le attività di emissione degli ordini di acquisto e di certificazione dei fornitori sono attività distinte pur facendo parte della funzione approvvigionamento. A questo punto si rende necessario approfondire il concetto di cost driver. Cost driver significa, in prima approssimazione, causa dei costi di un'attività. La sua individuazione è importante perché occorre disporre di un criterio attendibile di imputazione dei costi delle attività ai prodotti e perché esso consente di adottare le necessarie azioni di miglioramento della gestione. In realtà si può notare che questi due fini conducono a cost driver diversi. Il primo, legato all'attribuzione dei costi delle attività ai prodotti, misura il fabbisogno di attività che un prodotto manifesta, mentre il secondo spiega gli interventi correttivi della gestione. Nel primo caso, allora, parleremo di cost driver immediato o misura del fabbisogno o activity driver, mentre nel secondo parleremo di determinante dei costi o di cost driver secondario. Ad esempio, il cost driver immediato dell'attività di distribuzione dei materiali ai reparti produttivi è legato non tanto alla quantità di materiali consegnati, ma piuttosto al numero dei lotti in produzione. Ai fini del calcolo del costo di prodotto, inoltre, la stessa unità di misura del fabbisogno può essere comune a più attività, anche molto diverse tra loro, e ciò semplifica, ovviamente, le procedure di addebito dei costi indiretti.

1.5.4. Il calcolo del costo pieno di prodotto con l'A.B.C.

I costi indiretti riguardanti le attività possono essere classificati come segue:

a) Costi indiretti sostenuti nello svolgimento di attività di fabbricazione

Sono gli ammortamenti delle macchine, gli stipendi ed i salari del personale non qualificabile come mano d'opera diretta, i costi per l'energia elettrica, ecc.;

b) Costi indiretti sostenuti nello svolgimento di attività ausiliarie o di servizi di sostegno alla produzione

Sono solitamente costi del fattore lavoro, e cioè hanno la natura di salari e stipendi, necessari per l'approvvigionamento dei materiali, la gestione delle scorte, la progettazione, il controllo di qualità, ecc.;

c) Costi indiretti relativi ad attività di direzione e di gestione generale dell'area della produzione

Sono gli stipendi della direzione di stabilimento, gli ammortamenti dei fabbricati, ed in generale parte dei costi amministrativi;

d) Costi indiretti relativi ad attività estranee all'area della produzione (commerciali ed amministrative)

Ancora una volta sono costi collegati al fattore lavoro in larga prevalenza, ma legati ad attività staccate da quelle produttive. Per l'elaborazione del costo industriale nella contabilità per attività si deve allargare gli orizzonti rispetto alla visione tradizionale, soprattutto a causa del'evoluzione dell'area produttiva. È necessario, quindi, considerare i costi delle aree produttive, di supporto e di gestione generale, che abbracciano una gamma di costi più ampia di quella accolta nel tradizionale costo industriale. Particolare attenzione, dunque, va riservata alle attività di supporto ed, in special modo, alle cosiddette transazioni. Per transazioni si intendono tutte quelle operazioni che comportano scambi di materiali e/o informazioni necessarie allo svolgimento della produzione. L'enfasi posta sui costi indiretti delle transazioni si giustifica in relazione al rilevante peso assunto recentemente da tali attività . Le attività di supporto corrispondenti a transazioni si possono raggruppare in: - attività di logistica, collegate al ricevimento, movimentazione e spedizione di materiali o prodotti; - attività di bilanciamento, che consentono di bilanciare le risorse disponibili e i fabbisogni, che si estrinsecano in ordini di acquisto e produzione; - attività di qualità, che effettuano i relativi controlli o che ne fissano le specifiche; - attività di cambiamento, riguardanti le modifiche ai progetti, ai cicli di produzione e agli standard. Il denominatore comune dalle varie transazioni sta nel fatto che da esse dipendono in misura significativa alcuni attributi del prodotto, idonei a differenziarlo sul mercato. Tali attributi potranno essere la qualità, la tempestività delle consegne, la varietà della gamma, ecc., ma i loro costi non variano tanto in relazione al volume produttivo, quanto in relazione alla differenziazione produttiva. Al diversificarsi dei prodotti, dei mercati, dei canali distributivi, ecc., il fabbisogno di interventi di progettazione, programmazione, emissioni di ordini, di attrezzaggio delle macchine, ecc., cresce sensibilmente, anche in assenza di significative variazioni del grado di sfruttamento della capacità produttiva. Pertanto, dal punto di vista del calcolo dei costi di prodotto, è a tali attività o transazioni che molti costi indiretti vanno attribuiti. Una volta identificate le attività in oggetto, per ciascuna di esse occorre individuare l'unità di misurazione del fabbisogno manifestato dai prodotti, che riflette la causa immediata del sostenimento dei costi. Alcuni esempi di cost driver potrebbero essere le ore di attrezzaggio delle macchine, il numero di ordini di produzioni, il numero di componenti da gestire, il numero di ordini di acquisto ai fornitori, il numero di consegne di prodotto o di materie, il numero di modifiche tecniche, il numero di lotti di produzione e così via. La quantificazione di una certa attività mediante il proprio cost driver consente di determinare un costo unitario di transazione utile per imputare in maniera attendibile i costi indiretti in questione ai prodotti. Perché ciò avvenga, occorre naturalmente che per ogni prodotto sia possibile determinare quante unità di cost driver essi richiedono, altrimenti tali costi non saranno imputabili con criteri causali, ma in base a espedienti non dissimili da quelli impiegati nella contabilità tradizionale. Analizziamo, ad esempio, il procedimento di imputazione di un costo indiretto, relativo ad una transazione, imputato ad un prodotto. Possiamo pensare ad un'attività di messa a punto di una macchina. I relativi costi saranno salari, stipendi, ammortamenti, materiali, energia elettrica, ecc., che si ipotizzano per complessivi L. 300.000.000. Il cost driver individuato sia il numero di ore di messa a punto delle macchine. Le ore di messa a punto relative al periodo considerato sono ricavabili considerando il tempo medio di una messa a punto, ipotizziamo 3 ore, il numero medio di cicli produttivi per ciascun prodotto, ad esempio 5, ed il numero di prodotti, sempre realizzati nel periodo considerato, si immaginano pari a 750. Le ore totali di messa a punto saranno:

3 * 5 * 750 = 11.250 h

Il costo orario della transazione sarà:

300 ML / 11.250 h = 26.667 L/h

Se un prodotto viene realizzato in 1.000 unità nel periodo, con due cicli di produzione per ognuno dei quali si impiegano 3,5 ore di messa a punto, allora il costo della transazione da imputare a ciascuna unità di prodotto sarà:

26.667 L * 3,5 h * 2 cicli / 1000 unità = 187 L

Fino ad ora abbiamo considerato i costi indiretti legati alle transazioni. Restano da considerare le altre due categorie di costi indiretti industriali, ovvero i costi delle attività produttive e i costi delle attività generali. I costi indiretti sostenuti per lo svolgimento delle attività produttive corrispondono sostanzialmente ai costi dei centri produttivi della contabilità tradizionale, esclusa ovviamente la mano d'opera diretta. Essi includono i costi per gli stipendi, manodopera indiretta, ammortamento dei macchinari, energia elettrica e simili, e comprendono anche i flussi di costi dai centri ausiliari che sono al servizio della produzione. L'imputazione di tali costi avviene principalmente secondo due tecniche:

1) si distinguono i centri di costo tradizionali in grandi categorie a seconda del loro grado di automazione. Tipicamente le categorie sono due, a volte denominate centri-uomo e centri-macchina imputando i relativi costi rispettivamente in proporzione alle ore di lavoro diretto e alle ore macchina;

2) si individuano varie attività produttive e per ognuna di esse si sceglie il cost driver più opportuno. In molti casi questi cost driver coincidono con le sopracitate ore di lavoro diretto o con le ore macchina, ma altre volte sono numero di operazioni compiute, numero di lotti, o altri ancora.

Chiaramente la prima tecnica è molto sbrigativa, anche se non di rado costituisce l'evoluzione di metodi obsoleti basati sulle ore di mano d'opera diretta. La seconda soluzione, invece, riflette molto meglio la logica dell'A.B.C., con la sua ricerca del vero determinante di costo anche per i costi indiretti. Riportiamo un esempio riguardante l'inserimento automatico di componenti nell'industria elettronica, attività per la quale si sostengono L. 25.000.000 di costi indiretti in un certo periodo. Si ritiene che le ore macchina siano il cost driver più opportuno e si quantificano in 4.000 ore nel periodo. Il tasso per orma macchina sarà, quindi:

25.000.000 L / 4.000 h = 6.250 L/h

Se un prodotto richiede 2 ore macchina della lavorazione in oggetto, allora il suo costo, relativamente alle voci considerate, sarà:

6.250 L * 2 h = 12.500 L

Restano quindi da considerare i costi indiretti per attività generali di produzione. Sono costi del personale della direzione, ammortamenti dei fabbricati, assicurazioni, spese di illuminazione, telefoniche, ecc.. Di norma, trattandosi di attività di general management o di servizi generali, è difficile istituire un collegamento tra prodotto e particolari attività e quindi procedere all'imputazione dei costi secondo modalità simili a quelle viste per le transazioni. In linea di massima, quindi, bisogna riconoscere che l'addebito di questi costi avviene ancora secondo espedienti analoghi a quelli visti nelle contabilità tradizionali. La configurazione di costo industriale adottata comprende, quindi: - materie prime, - mano d'opera diretta, - costi indiretti di attività produttive, - costi indiretti di attività di supporto, - costi indiretti di attività generali industriali. Per determinare il costo pieno restano da considerare i costi solitamente classificati come non tecnico-produttivi, principalmente di tipo commerciale e amministrativo. Anche in questo caso resta il problema del criterio di imputazione. La suddivisione dei costi per attività può migliorare la loro imputazione ai prodotti o a altri oggetti, avvicinando le modalità di addebito a quello proprie dei costi diretti. All'intero delle attività amministrative è a volte possibile distinguere e quantificare il contributo di servizi dato ai vari prodotti, come avviene ad esempio per la preparazione dei report, guidati dal tempo impiegato, o per la fatturazione i cui costi sono guidati dal numero delle fatture.

1.5.5. Confronto tra A.B.C. e metodo tradizionale e problemi di misurazione insiti nell'A.B.C.

In sintesi, le fasi che caratterizzano la metodologia A.B.C. possono essere così elencate:

1) imputazione dei costi diretti ai prodotti;

2) imputazione dei costi indiretti alle attività che ne determinano il sostenimento;

3) individuazione del cost driver immediato di ciascun tipo di attività;

4) quantificazione, attraverso tale unità di misura, del volume di attività relativo ad un certo periodo;

5) calcolo del costo per unità di attività;

6) imputazione dei costi delle attività ai prodotti, in base al fabbisogno di attività che ciascuno di essi manifesta.

Non tutti i costi indiretti sono imputabili ai prodotti tramite la metodologia su esposta: basta pensare ai costi indiretti amministrativi legati ad attività di gestione generale dell'impresa. Per questi sono ipotizzabili metodi di addebito tradizionali. Graficamente il processo può raffigurarsi nella figura 2, dove si può notare che:

1) i costi indiretti industriali sono suddivisi nelle varie voci, classificate per natura, come: manodopera indiretta, energia elettrica, ammortamenti, stipendi ecc.; ogni voce di costo è attribuita al proprio pool o attività in base al criterio più opportuno;

2) analoghe considerazioni valgono per i costi indiretti non industriali;

3) le varie attività vanno distinte in maniera analitica, ad esempio attività di messa a punto, di ordinazione di materiali, di controllo qualità, ecc.;

4) i costi delle attività sono attribuiti alla loro destinazione finale in base al più opportuno driver.

Dal confronto delle due metodologie (figura 1 e 2) emerge con chiarezza che la differenza fondamentale sta nell'oggetto intermedio di accumulo dei costi, che è il centro di costo nella contabilità tradizionale ed è l'attività nell'A.B.C. Questi due tipi di analisi riflettono due diverse chiavi di lettura dell'azienda: la prima è di tipo eminentemente organizzativo-strutturale, mentre la seconda ha un significato più propriamente strategico-gestionale, sia quando l'oggetto focalizzato è la singola attività sia quando la gestione viene osservata attraverso i processi. In generale le attività sono collegabili ai centri mediante una scomposizione di questi ultimi: un centro di costo può essere inteso come un insieme di più attività. Ciò è vero anche se non è escluso che una particolare attività, per essere svolta, richieda l'intervento di due o più centri. Dal nesso tra centri ed attività ora menzionato con riferimento all'ipotesi più frequente deriva che le basi di imputazione dei costi indiretti con l'A.B.C. si moltiplicano e che l'attendibilità del calcolo del costo di prodotto aumenta. Importante è, a questo punto, esaminare come operativamente possano svolgersi alcuni delicati passaggi dell'A.B.C. Ci riferiamo in particolare alle fasi di:

a) imputazione dei costi alle attività che manifestano il fabbisogno delle corrispondenti risorse (lavoro, materiali, servizi, immobilizzazioni, ecc.);

b) quantificazione del volume di driver di ciascuna attività, relativamente ad un certo periodo;

c) quantificazione del fabbisogno di attività che ciascun prodotto manifesta.

La fase sub a) presupporrebbe la conoscenza dei volumi di impiego dei vari fattori produttivi per lo svolgimento di ciascuna attività nel periodo di tempo considerato. Supponendo di aver scomposto per attività un centro di costo, si tratta di quantificare l'impiego di risorse umane, di materiali, di servizi, di macchinari, ecc., utilizzati nello svolgimento delle varie attività. La possibilità di effettuare vere e proprie misurazioni sarebbe ovviamente l'ideale, più spesso si ricorre a stime espresse dal capo centro o comunque da personale esperto ed affidabile. In merito alle fasi sub b) e sub c), si tratta per esempio di quantificare il numero di consegne di materie prime avvenute in un certo periodo (fase sub b)) ed il numero di consegne di materie relative ad un particolare prodotto (fase sub c)) Le misurazioni in oggetto sono più o meno agevoli a seconda che i dati elementari concernenti i driver siano già disponibili per altre ragioni, oppure debbano essere appositamente rilevati. Nel secondo caso la possibilità di applicare l'ABC a costi ragionevoli può essere significativamente compromessa. Occorre però osservare che in anni recenti i progressi dell'IT sono stati tali da consentire una drastica riduzione dei costi di misurazione dei numerosi cost driver.

Ciò a causa dell'esistenza di un sistema informativo che rende già disponibili i dati relativi a parecchi cost driver, come avviene nel caso in cui l'azienda adotti sistemi di pianificazione dei fabbisogni dei materiali o della capacità (MRP o CRP), che rendono già noto il numero di cicli di produzione richiesti da ciascun prodotto. Ma anche perché il costo di misurazione di molti cost driver è diminuito, come ad esempio quello della misurazione del Tempo di Attraversamento della Produzione (T.A.P.), grazie ai sistemi automatici di lettura dei codici a barre. In definitiva, se è vero che l'A.B.C. comporta rilevanti problemi di misurazione, è anche vero che si rivela opportuno nelle aziende che hanno intrapreso impegnativi programmi di Total Quality (T.Q.), cioè laddove la disponibilità di Sistemi Informativi (S.I.) e di strumenti gestionali idonei ad agevolare le misurazioni in questione è più frequente.

1.5.6. Scopi perseguibili con l'A.B.C.

Con il calcolo del costo di prodotto effettuato con l'A.B.C. il management aziendale può disporre di informazioni utili per raggiungere una molteplicità di scopi che verranno analizzati di seguito.

a) Formulare decisioni aventi per oggetto i prodotti,

quali l'incremento della produzione, oppure il loro ridimensionamento o la loro eliminazione; la progettazione o l'introduzione di nuovi prodotti; la variazione del prezzo di vendita o la fissazione ex novo del prezzo; l'opportunità di ricorrere a fornitori esterni anziché produrre internamente; l'accettazione di ordini speciali, particolarmente in periodi di limitato utilizzo della capacità produttiva disponibile. Una volta calcolato il costo pieno di prodotto ci si chiede come questo venga poi utilizzato dalla direzione, quale significato abbia la distinzione tra costi variabili e costi fissi, e quale sia il significato del concetto di costo variabile nel lungo periodo. Per rispondere a queste domande è necessario aver chiari i concetti di costo variabile e fisso e le analisi collegate, il modello differenziale e la differenza tra breve e lungo periodo . Le decisioni prima elencate sono considerate da alcuni autori di lungo periodo o strategiche, in quanto spesso coinvolgono le risorse da cui dipende la capacità produttiva aziendale. In quanto tali non possono essere prese sulla base dei soli costi variabili (che variano in proporzione al volume produttivo), ma richiedono la conoscenza del costo pieno di prodotto. Più in particolare Johnson e Kaplan propongono di ridimensionare l'analisi tradizionale della variabilità dei costi, secondo la quale i costi variabili sono quelli che variano proporzionalmente al volume di produzione e i costi fissi sono quelli che non risentono delle variazioni di volume. Essi propongono una lettura della variabilità dipendente dalla complessità gestionale, espressa solitamente in termini di differenziazione della gamma produttiva. In questo senso, allora, molti costi si definiscono variabili, in quanto la differenziazione comporta il sostenimento di nuovi costi per la progettazione, l'attrezzaggio delle macchine, la gestione degli ordini, il controllo della qualità, ecc.. Al contrario, la semplificazione della gamma produttiva comporta un risparmio dei costi in questione, nonostante il volume resti sostanzialmente invariato. Si tratta di costi che nell'analisi tradizionale verrebbero definiti fissi, tipicamente indiretti, sostenuti nei centri che svolgono attività di supporto o transazioni in generale. Dato che numerose decisioni di prodotto coinvolgono le corrispondenti risorse, tali costi vanno imputati al prodotto, per rendere corretta la valutazione di economicità. I costi in oggetto vengono denominati costi variabili nel lungo periodo perché comportano lunghi tempi di reazione tra la decisione dell'incremento o della diminuzione e l'attuazione del relativo provvedimento. Secondo J&K molte aziende con capacità produttiva esuberante scelgono di saturarla con prodotti a basso volume, anziché con nuovi prodotti a breve ciclo di vita, giustificando queste lavorazioni con la più che copertura dei corrispondenti costi variabili. In questo modo, però, esse commettono un errore di strategia, perché mantengono strutture onerose, che invece sarebbe stato più conveniente smobilizzare non appena possibile. Questo esempio dimostrerebbe come il modo tradizionale di prendere le decisioni, basato sui costi variabili di breve periodo, sia fuorviante, mentre il calcolo dei costi pieni favorisca orientamenti più lungimiranti. Nella prassi aziendale si ritrova, però, un altro modello decisionale, che è quello differenziale. Tale modello prende in considerazione gli effetti economici che derivano da una determinata scelta e quelli che non si verificano in sua assenza. Si tratta per questo motivo di costi e ricavi differenziali. Dobbiamo, allora, indagare sulla relazione esistente tra i costi differenziali e quelli variabili. Questi due coincidono solo quando la variazione del volume produttivo resta all'interno di un range tale da non modificare la capacità produttiva. Quando, invece, la capacità produttiva viene modificata in maniera sensibile, allora i costi differenziali coincidono con quelli diretti, sia variabili che fissi. Quindi, l'eliminazione di un prodotto dal catalogo comporta un risparmio di costi variabili legati al volume produttivo ed un risparmio di costi fissi legati alla dotazione di capacità produttiva ed alle transazioni derivanti. Invece la scelta di avvalersi di fornitori esterni per una lavorazione che prima veniva effettuata all'interno non deve trascurare l'aumento dei costi per le transazioni con l'esterno, che magari tendono ad emergere nel lungo periodo, più che nel breve.

b) Controllare l'economicità dei singoli prodotti,

Con l'A.B.C. è possibile determinare il costo di tutte le attività, anche di supporto, che concorrono a creare un prodotto, e di queste attività evidenzia anche i relativi determinanti. La contabilità per centri di costo, invece, fornisce solo un contributo legato alla visione organizzativa, e quindi gerarchica, risentendo dell'imputazione dei costi dei centri ausiliari, i quali nascondono i costi indiretti rendendoli poco visibili a livello di prodotto. L'A.B.C. evidenzia il determinante primo, il legame tra i costi ed i prodotti, ma per l'analisi volta al miglioramento dei processi è necessario guardare anche al determinante ultimo dei costi, ovvero alle vere cause che li generano. Ad esempio, si ipotizzi di addebitare ai prodotti dei costi di amministrazione e vendita, utilizzando come driver il numero di ordini o le fatture emesse. Se questi costi sono troppo elevati, potrebbe essere dovuto al fatto che i clienti sono troppo polverizzati. Per questo motivo, è importante una gestione ed un controllo per processi. Ogni azienda ha una sua mappa dei processi, legata alle sue caratteristiche strutturali e strategiche ed ai sui fattori chiave di successo. Spesso, però, tali processi sono interfunzionali, e quindi non visibili tramite la gestione per centri di costo.

c) Programmare i fabbisogni di risorse indirette

La preventivazione dei questi costi è da sempre problematica. Solitamente dopo uno stanziamento iniziale si operano delle variazioni aumentative o diminutive in sede di budget, ma con un tale approccio i costi variano in maniera incontrollata. L'A.B.C. può risultare utile in quanto dal volume di produzione può fornire informazioni sulle quantità di attività indirette necessarie, proprio in termini di unità. E conoscendo il costo di una unità di driver è possibile determinare i costi indiretti corrispondenti.

Naturalmente non è detto che i costi determinati secondo questo schema siano quelli che si verificheranno nell'esercizio successivo. Bisogna, infatti, tenere conto del fenomeno dei costi di lungo periodo, legati ad esempio alla capacità in eccesso che non è sempre riducibile nel breve. Ciò nonostante, grazie all'A.B.C., si è ottenuta una valutazione del corretto ammontare del fabbisogno di risorse necessarie. Resta ancora da chiarire quale sia la configurazione di costo utilizzata dall'A.B.C., che viene normalmente definita una configurazione a costo pieno. In realtà assomiglia di più ad un costo complessivo, in quanto comprende i costi diretti e costi indiretti. I costi diretti sono imputati attraverso la misurazione oggettiva della quantità di risorse impiegate, mentre quelli indiretti attraverso una misurazione dei driver delle attività richieste dal prodotto. Vengono quindi esclusi dalla configurazione tutti i costi di attività che non hanno legami con il prodotto, neanche per il tramite delle attività, come l'amministrazione, la ricerca e sviluppo, il marketing ed in generale di tutte quelle attività che hanno come riferimento l'intera azienda o comunque aggregati più ampi del prodotto. Un altro problema aperto è quello del livello di oggetto a cui riferire i costi. Solitamente le attività e i costi vengono riferiti a livello unitario di prodotto. Si imputano quindi tutti i costi delle materie dirette e delle attività produttive e non rivolte all'ottenimento della singola unità di prodotto finito. Qualche volta, invece vale la pena di innalzare il livello di esame, portandolo al lotto o all'ordine. In questo caso l'analisi si focalizza sui costi delle attività di attrezzaggio, di movimentazione, di emissione degli ordini di produzione e, in generale, di tutte quelle attività che dipendono dal numero di lotti. Volendo spingerci ad un livello ancora più aggregato, si può addirittura guardare al prodotto a livello di codice. L'attenzione, quindi, si pone sui costi di progettazione, di codifica e su tutti quei costi che sono indipendenti dal volume di produzione, ma che vengono sostenuti per l'esistenza a catalogo del prodotto.

1.5.7. Considerazioni conclusive

Giunti a questo punto pare opportuno fare qualche riflessione di sintesi sull'A.B.C., sulle condizioni perché possa essere utilmente applicato, sui suoi pregi, sui suoi limiti e sulle possibilità di coesistenza con altri strumenti di controllo. Iniziando dalle condizioni di applicabilità possiamo affermare che è soprattutto la presenza di alcuni requisiti oggettivi a rendere auspicabile l'approccio A.B.C. Tali presupposti sono riconducibili ai concetti di Total Quality (TQ), di strategie di differenziazione e, in generale, di complessità gestionale che costringono il sistema di contabilità analitica a porre al centro dell'attenzione le attività ed i driver relativi. Altro presupposto è la presenza di un SI idoneo a misurare i driver dei costi delle attività a costi accettabili. I pregi dell'A.B.C. consistono nella possibilità di determinare in modo più attendibile il costo di prodotto, di ottenere una chiave di lettura della sua struttura economica più utile ai fini manageriali e di facilitare così la formulazione di importanti decisioni ed il calcolo mirato al miglioramento dell'efficienza gestionale. I limiti dell'A.B.C. non sono però trascurabili. In primo luogo, per quanto sia intenso lo sforzo di misurazione oggettiva del fabbisogno di attività e di risorse da parte dei prodotti, resta pur sempre arduo attribuire attività e costi che con il prodotto non hanno significativi legami. Quindi, oggettivamente, anche l'A.B.C. non può spingersi più di tanto sulla strada della trasformazione in costi diretti dei costi tradizionalmente considerati indiretti dalla contabilità. In secondo luogo, in sede di utilizzazione dell'A.B.C. per scopi decisionali, la pretesa di riflettere costi variabili nel lungo periodo ne fa uno strumento di decisione strategica che solo limitatamente può sostituirsi ai metodi corretti dal punto di vista della valutazione economica, come i metodi di attualizzazione dei flussi finanziari. Un altro limite sta nel fatto che se si sforza troppo il concetto di costo variabile nel lungo periodo si corre il rischio di perdere di vista il concetto di costo variabile nel breve periodo, e molte decisioni sui prodotti richiedono questo tipo di conoscenza, quindi è opportuno utilizzare il costo di prodotto pieno, senza però perdere l'articolazione nelle due componenti variabile e fissa. Circa la collocazione dell'A.B.C. nel più ampio sistema degli strumenti di controllo di gestione, la questione più rilevante è se la contabilità per centri abbia ancora ragione di esistere in presenza dell'A.B.C.. La risposta sembra essere affermativa, quando si pensa alle necessità della direzione di avere sia informazioni sul costo di prodotto fornite dall'ABC, sia le informazioni di responsibility accounting fornite dalla contabilità per centri. Pertanto la contabilità per centri di costo, o meglio per centri di responsabilità, può coesistere con l'A.B.C. e permette di risolvere un problema proprio del calcolo del costo dei prodotti basato sui centri di costo. Si tratta della pretesa che quest'ultimo consenta nello stesso tempo di determinare attendibilmente il costo di prodotto e di controllare l'efficienza dei centri di responsabilità, pretesa che è destinata a fallire perché i due scopi non sono compatibili, basti pensare ai fenomeni di responsabilizzazione legati alla chiusura dei centri ausiliari e generali. In definitiva, la direzione ha bisogno di strumenti contabili articolati e differenziati, in funzione della pluralità di scopi che deve perseguire. E la moltiplicazione degli strumenti mirati è oggi perfettamente gestibile, grazie ai SI che consentono un'accurata gestione delle rilevazioni elementari.

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